Ferrero: "Avv. Romei il mio D'Artagnan, da quando ho la Samp ho preso cinque chili perché non ho mai lavorato così tanto"

25.04.2015 09:20 di  Giuseppe D'Amico   vedi letture
Ferrero: "Avv. Romei il mio D'Artagnan, da quando ho la Samp ho preso cinque chili perché non ho mai lavorato così tanto"
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© foto di Federico De Luca

Massimo Ferrero è uno di quei personaggi che quando entrano in una stanza, nel bene o nel male, tutti si voltano a guardare. Il suo ingresso nel mondo del calcio è stato un po' così, tra scettici e simpatizzanti che hanno ormai da un anno potuto ammirare l'operato di Er Viperetta. Ai fatti, la sua Samp sta raggiungendo traguardi insperati e ciò non può non zittire chiunque l'abbia ritenuto poco adatto ad essere a capo di una squadra di calcio.

Ai taccuini de La Gazzetta dello Sport, il presidente blucerchiato si raccontato in un'intervista esclusiva raccontando molti lati della sua vita privata. Di seguito uno stralcio, riportato dalle pagine dell'edizione odierna. 

“Buoni amici? Ho un sacco di conoscenti: tanto più se si mischiano amicizia e lavoro, oggi è molto difficile trovare amici sinceri e io ho preso delle fregature cosmiche. Ho avuto un grande amico, Giuseppe Bertolucci, che mi ha insegnato tanto e mi ha lasciato troppo presto, ora sarebbe orgoglioso di me. Oggi ho i quattro moschettieri - Ricky Tognazzi, Lellino, Fabietto e Zio Franco - e D’Artagnan, l’avvocato Antonio Romei. Credevo fossero amiche le mie ex donne ma ho imparato che quando se ne vanno, come minimo se ne va anche un appartamento. La vera felicità è regalare a chi ha avuto meno di me: per questo ho partecipato alla costruzione di un ospedale in Brasile, con Tognazzi mi sono inventato e ho girato lo spot “Un euro in più per il Bambin Gesù”, la Samp collabora con il Gaslini e qualunque regalo mi arriva a Natale lo giro direttamente alla Caritas. Ma quello forse è perché alla Befana dei tramvieri il regalo lo prendeva sempre il mio fratello più grande...”.

“La Lega Calcio? Il calcio è su una cattiva strada perché si fa di tutto per mandare via la gente dagli stadi, invece di riportarcela: quando sono entrato a San Siro per Milan-Samp l’ho visto mezzo vuoto e mi sono sentito male, ancora di più a vedere i nostri tifosi lassù in piccionaia, più che in curva sembravano in cima a un grattacielo. Così vuole la legge della tessera del tifoso, però poi i tifosi possono mandare affanculo gli steward e nessuno dice niente: da ragazzini noi vedevamo arrivare una volante e tremavamo, adesso se un poliziotto vede un tifoso che fa il delinquente e prova a portarlo in galera, rischia di finirci lui. Mi dicono: “Ferrero, cambia questo calcio”. Ma cosa posso cambiare io se quando ci troviamo in Lega, invece che un’assemblea dove provare a rifare tutte le leggi sembra una riunione di condominio?”.

“Il cibo? Ero l’aiuto chef di Ugo Tognazzi e oggi, soprattutto se faccio un sugo per la pasta, mischio qualunque cosa come lui: così do un po’ più di sapore. Ugo era un artista: prendeva gli avanzi, tritava tutto, pure la cenere dentro i piatti se capitava, e faceva un polpettone che diventava impossibile capire cosa ci aveva messo dentro. Da quando l’ho visto all’opera non ho mai più mangiato niente di suo, eppure sono di bocca buona: nel senso che amo le cose semplici, ma pure che mi piace mangiare. Per dire: da quando ho preso la Samp ho preso anche cinque chili, perché non ho mai lavorato così tanto, sono un po’ stressato e mangiare mi rilassa, però ora sono ufficialmente a dieta. Sono cresciuto a spaghetti all’amatriciana e pollo, li mangiavamo la domenica, oppure quando papà prendeva lo stipendio. Lui era bravissimo a fare la coratella con i carciofi o i broccoletti in padella: i sapori di una volta che vorrei riassaggiare, se si potesse, ma mi va benissimo anche un piatto di pesce, di trippa o di coda alla vaccinara. Basta che sia roba sana, come quella che coltivo nel mio orto in campagna, o come l’olio che viene dai miei 1500 ulivi. Lo faccio per regalarlo agli amici e soprattutto per dimostrare quanto è diverso da quello che spacciano come il migliore solo perché ha le etichette controllate in tutta la Comunità europea: lassamo proprio perde”.

“La scuola? Le ho detto addio a 9 anni, avevo iniziato da poco la quarta elementare: soldi da buttare non ce n’erano, probabilmente avrei smesso anche prima, ma c’era la legge sulla scuola dell’obbligo, dunque venivano a prendermi a casa i carabinieri su una camionetta e arrivare in classe così mi faceva sentire un re. Ma siccome l’educazione, o la curtura come la chiamano oggi, non si impara solo sui banchi di scuola, per me venne prima che per altri l’ora di lavorare: cominciai ad andare in giro a consegnare la carne, mi chiamavano il macellaretto. Però in quei tre anni e mezzo me l’ero cavata: studiavo pochissimo, ma avevo abbastanza orecchio per imparare le tabelline a memoria. E quegli anni me li sono goduti: il maestro leggeva il giornale, noi giocavamo a chi lanciava più forte i calamai e all’ora della merenda frugavo nel cestino dei bambini più ricchi, visto che nel mio trovavo al massimo un po’ di pane e olio. Però poi furono loro che iniziarono a invidiare me, perché come mi diceva sempre mio padre non conta nascere ricco ma avere credito: è quello il modo migliore per diventare ricco. Mi inventai un’impresa ingaggiando cinque ragazzini: iniziavano ad aprire i primi supermercati, con un carrettino andavamo a recuperare i cartoni che lasciavano fuori e li portavamo ai negozianti che ne avevano bisogno. Ovviamente glieli facevamo pagare”.