SN - 19 maggio 1991: la Sampdoria e un bambino di nove anni

19.05.2021 15:28 di  Diego Anelli   vedi letture
SN - 19 maggio 1991: la Sampdoria e un bambino di nove anni
© foto di Sampdorianews.net

Quando si è adolescenti si vorrebbe crescere in fretta. Quando si è adulti e gli anni iniziano a farsi sentire, si farebbe di tutto per tornare ragazzi. In ogni caso il tempo dovrebbe fermarsi quando si è bambini, tanti sogni, poche responsabilità e numerosi miti. Ogni giorno ringrazio di essere nato nell'agosto 1981 per essermi goduto a dovere i trionfi della Sampdoria di Paolo Mantovani.

La settimana precedente a Sampdoria - Lecce fu caratterizzata dal timore di non trovare il biglietto. Ricordo che mio papà fece i salti mortali per recuperarlo, facendo le ore piccole in coda e riuscendo per fortuna ad assicurarselo soltanto grazie ad un biglietto in più rimasto disponibile per un viaggio di lavoro all'estero di un conoscente di mio zio. Avevo vissuto quell'annata considerando la Sampdoria come naturale concorrente delle storiche big, dalla Juventus alle milanesi, non scordando la forza partenopea di quegli anni. Non potevo conoscere le fatiche dei decenni precedenti, in quel momento era impossibile per un bambino quantificare l'entità di quell'impresa. I timori erano evidenti, avevo già intuito il fattore della soggezione arbitrale  e non mancavano i "gufi" che ricordavano anni prima la disfatta della Roma ad un passo dallo scudetto proprio contro il Lecce.

In quella stagione mio papà mio portò allo stadio in diverse occasioni, sempre nel settore Distinti. Ricordo le note ringhiere di ferro divisorie tra ogni fila, quando ero agitato mi ci appoggiavo, restavo in sospeso, dando dei piccoli calcetti per scaricare l'agitazione contro un sostegno che sentivo davanti. Le sfide contro le milanesi e la Juventus furono delle autentiche battaglie tra campioni, ero incantato nell'ammirare un certo livello di calcio, così elevato da diventare più unico che raro. Trovammo il biglietto al fotofinish anche contro il neopromosso Parma, una sfida in famiglia per noi, dato che mio papà e metà dei nostri parenti sono originari di quella zona. Quel match fu il simbolo della stagione, eravamo piu forti di tutto e tutti, si trovava lo zampino del campione anche nelle gare più bloccate, in quell'occasione ci pensò Mancini nel finale. Ricordando in passato il pianto in un Sampdoria - Inter 0-1 nel 1989 goal di Mandorlini (mia prima partita allo stadio), preferivo vivere alla giornata, le delusioni da bambino durano davvero tanto.

Quando al San Paolo riuscimmo a dare spettacolo iniziai però a crederci, eravamo troppo belli per non riuscirci, solo crescendo ho compreso quanto fosse fondamentale essere concreti ed efficaci andando oltre a doti meravigliose di bellezza, se così non fosse sarebbe arrivato almeno un altro scudetto, ad esempio nel primo campionato con Ruud Gullit. Ogni domenica quel bambino attendeva le 18.10 per vedere i goal in tv e le 20 per gli approfondimenti, appuntamenti immancabili, ovviamente dopo la radiocronaca delle partite. Quando non andavo allo stadio facevo lunghe camminate con mio papà, spesso in Corso Firenze, cercando di far passare il tempo e gestire l'ansia. La vittoria a San Siro contro l'Inter fece impazzire quel bambino, gestire le emozioni era diventato impossibile.

Non dormivo di notte, a scuola pensavo solo a quei colori, si viveva in ottica della domenica, ogni giorno controllavo cento volte di non aver perso il biglietto di Sampdoria - Lecce, lo accarezzavo, sistemavo eventuali pieghe negli angoli, aprivo e chiudevo il cassetto, quel tagliando non aveva prezzo, era la chiave per accedere al paradiso dei sogni. Quella domenica mattina arrivai con papà e lo zio almeno tre ore prima del fischio d'inizio. Ricordo una lunga fila dinanzi ad un bagno pubblico a Marassi, non ce la facevo a resistere, al mio turno non riuscivo quasi più a fare la pipì, troppa l'adrenalina e altrettanta attesa. Davanti ai cancelli del Ferraris non parlavamo, ci si guardava negli occhi, ci credevamo. Avevo la sciarpa, la maglia, la bandiera scelte a casa tra tante per scegliere quelle preferite. Non fu facile raggiungere i nostri posti seppure numerati nei Distinti, c'era una calca di gente impressionante. La Sud era una cartolina, zeppa di gente, colori, passione, entusiasmo. In campo non ci fu mai partita, un 3-0 grazie alla bravura di sbloccarla subito.

Lo spirito sudamericano di Toninho, lo stupore di Moreno, la capriola di Gianluca, le trombette dominavano sugli spalti, al fischio finale ricordo il tricolore al maxi schermo, il giro di campo della squadra e i festeggiamenti a De Ferrari. Raggiungemmo la piazza, l'emozione era talmente alta che a nove anni faticavo quasi ad esternarla, le lacrime agli occhi, quasi non ci credevo. Era un qualcosa di incredibile, non potevo sapere che non sarebbe mai più capitato e chissà se mai ricapiterà un giorno. Pensavo alle parole del Presidente Paolo Mantovani, nessuno piu di lui si meritava il coronamento di un lavoro immenso, un amore infinito verso la Sampdoria, gli insegnamenti da Padre nei confronti di ogni tifoso, dal più datato al più piccolo. Non potrò mai dimenticare le sue parole post scudetto in diretta tv, mai sono stato più orgoglioso.

Stavo per dimenticare... il sostegno ai miei calcetti era la schiena di un cinquantenne che non mi disse una parola di lamentela per tutta la gara, al triplice fischio si girò dicendomi "Ci hanno portato bene" e ci si abbracciò. Restano i ricordi, l'orgoglio e i ringraziamenti ai miei genitori per essere stato messo al mondo in tempo per godermi di persona quelle annate. Conservo quel biglietto con la stessa cura di trenta anni fa, è un pezzo di storia, di vita, di cuore. Mi sono innamorato della Sampdoria non per la città, la bacheca, i campioni, ma "semplicemente" per la bellezza della maglia mentre a cinque anni sfogliavo le pagine del primo album di figurine e ne sono rimasto incantato.